Se è vero che ogni epoca ha la sua tribù, negli anni ’80 il popolo della notte era punk, skinheads, rockabilly, dark, mods.
A Roma si aspettava che scendesse la notte, s’infilava nell’autoradio la cassetta dei Joy Division e si attraversava la città fino al margine per arrivare sulla via Cassia: al civico 871 c’era il Uonna Club. Sembrava il garage di un normale condominio la cui rampa, però, il sabato notte si riempiva di giovani in attesa di entrare in un luogo dove esplodeva il mondo.
Si ballava Boys Don’t Cry dei Cure e si cantava a squarciagola London Calling dei Clash, eravamo Fireworks, fuochi d’artificio, come ci dicevano Siouxsie And The Banshees. Chi scrive, c’era.
Con gli anni’80 si perde l’innocenza, la dimensione collettiva lascia il passo a quella individuale. Non si scende a manifestare, noi contro di loro. Nel 1989, l’iconografia della piazza trova nell’immagine del manifestante inerme contro il carro armato di Piazza Tienanmen la sua fulgida espressione. Nel nostro immaginario, il vecchio mondo si sgretola come il muro di Berlino e la fotografia sono i giovani con le creste a cavalcioni su quello che resta.
L’era del disincanto
Nonostante l’Italia sia inguaribilmente pop e tradizionale – Al Bano e Romina nell’84 e i Ricchi e Poveri nell’85 continuano a vincere il Festival di Sanremo – le subculture, dark, punk e le tante altre declinazioni, si alimentano di musica, testi importanti, manifesti esistenziali di forgia anglosassone. Di notte, nei locali, si affinano le armi della guerra di resistenza contro la cultura dominante e i suoi modelli. Spopola l’aerobica, sul piccolo schermo c’è Beautiful, sul grande Sapore di mare. È il disincanto.
Ognuno è libero di essere sé stesso
Non sono più istanze sociali che infiammano gli animi, ma una profonda rivendicazione di libertà individuale che affida all’estetica dell’apparire il potere di un’arma. Entrambi i sessi contemplano una significativa ambiguità – i ragazzi si truccano, usano i pizzi, le ragazze celano il corpo, capi oversi- ze o capello cortissimo a dichiarare che loro non sono oggetto sessuale – l’identità di genere non è in discussione: ognuno è libero di essere sé stesso e nell’oscurità (dark) si può essere promiscui. Il popolo della notte ora si mescola per una nuova accoglienza che abbraccia ogni forma di diversità, il codice estetico è la divisa, il nero è il suo colore.
Ciuffo ribelle contro l’omologazione
«Sono stati anni di scoperta, di piccole trasgressioni e rivoluzioni che partivano da una trasformazione estetica: mi assestavo questo ciuffo pazzesco con la chiara dell’uovo, mia madre mi cuciva i vestiti con le tende che compravo a Porta Portese, indossavo collane, era importante farsi riconoscere per non essere omologati. Grazie ai miei ciuffi sono entrato in contatto con Gabriella Ferri, Patty Pravo, Paolo Poli e tanti altri. Oggi indosso abiti di sartoria, una noia!». A parlare è Pino Strabioli, regista poliedrico, attore e conduttore televisivo.
Cosa resterà di questi Anni Ottanta, chi la scatterà la fotografia, cantava Raf al Festival di Sanremo nel 1989. Forse il cantante non sapeva che a scattare quella fotografia ci aveva già pensato Dino Ignani, trent’anni nel 1980, un passato nei collettivi politici e come ritrattista una missione: «Costruire un’antologia di scrittori e poeti». Cosa che puntualmente ha fatto e continua a fare.
La bellezza dell’inquietudine
In quegli anni però, del tutto per caso, avviene l’incontro con un gruppo di dark che scatena la sua curiosità. Sono vestiti di nero, hanno trucco e acconciature studiate, unghie laccate, rigorosamente nere come il rossetto a contrastare la pelle sbiancata dalla cipria, collane e ornamenti di reminiscenze gotiche, talvolta vittoriane, solo argento, mai oro. «Io in mezzo a quei ragazzi ero un corpo estraneo. Ero un adulto che non amava ballare e non aveva frequentato le discoteche, ma stavano finendo gli anni di piombo, c’era la voglia di uscire, i locali tornavano a riempirsi e quella tribù mi aveva rapito. Li seguivo nelle loro serate, ogni giorno della settimana c’era un locale della capitale dedicato ai dark: il Black Out, il Uonna, l’Angelo Azzuro, ritrovo gay, e il mitico Piper in una delle sue molte vite, solo per citarne alcuni. Quei ragazzi erano bellissimi, ma i locali erano bui, non sarei riuscito a fotografarli. Si scattava in pellicola, serviva la luce. Mi venne in mente di predisporre un piccolo set fotografico: con un cavalletto e una lampada da 1000 watt potevo fare un buon ritratto».
Di fronte a questi volti, siamo sedotti dall’inquieta bellezza e dall’eternità della fotografia. Forever Young, per sempre giovani, promettevano i romantici Alphaville nell’84.
Antologia di una generazione
In circa tre anni, Ignani ha realizzato 550 ritratti. Forse senza saperlo, aveva costruito un’altra imprevista e magnifica antologia, quella di una generazione di cesura che trasferiva l’inquietudine e il disagio sociale nel buio della notte per costruire una rete di comunità capace di combattere gli stereotipi e l’onda di quell’edonismo reaganiano, leitmotiv di Roberto D’Agostino nella trasmissione Quelli della notte.
Quei giovani si sentivano come un’opera d’arte
Conclude Ignani: «Ancora oggi mi scrivono molti giovani: vorrebbero essere ritratti per entrare in questo pàntheon». Quella stagione è finita, ma oggi la mostra e il libro ’80 Dark Rome celebrano quel tempo. Concepita come una galleria di ritratti, emerge prepotentemente la serialità di quelli realizzati in bianco e nero che conferisce a questo progetto il valore di opera. «Sono passati esattamente quarant’anni da queste immagini» dice Matteo Di Castro, il curatore. «Ho elaborato questo archivio per restituirlo al presente con una nuova lettura da cui emergono figure incantate e la bellezza come elemento dominante». Non per caso ha avuto un importante riconoscimento artistico e oggi è nelle collezioni della Sovrintendenza Capitolina di Roma Capitale.
Dino Ignani ha dichiarato più volte che quei giovani si sentivano come delle opere d’arte. Potremmo concludere con Oscar Wilde: «O si è un’opera d’arte o la si indossa».
80’S DARK ROME
La mostra fotografica di Dino Ignani è a cura di Matteo Di Castro. Museo di Roma in Trastevere Piazza S. Egidio, 1/b Roma. Fino al 10 novembre.
Il libro Dino Ignani | Dark Rome 1982-1985 è edito da viaindustriae.
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